Per non disperdere il ricordo della repressione comunista, l’associazione “Memorial” affigge apposite targhe sugli edifici nei quali vivevano le persone poi fatte sparire. E adesso a Mosca compaiono anche quelle per gli italiani, come Olinto Bertozzi e Alice Negro
Tratto da “La Verità”
di Aldo Forbice
«Finalmente qualcuno si è ricordato di loro. Parliamo delle vittime dei gulag e, in generale, di tutte le vittime del regime comunista dell’Urss (ma anche degli altri Paesi dell’est dominati dal totalitarismo rosso). Infatti, per tenere viva la memoria delle repressioni politiche dello Stato sovietico, per iniziativa di Memorial (la nota associazione di Mosca sui diritti umani), è nato il progetto «Ultimo indirizzo conosciuto», sul modello commemorativo delle «Pietre d’inciampo», creato nel 1992 in Germania per ricordare le vittime della Shoah. Un movimento, quello tedesco attivo in 650 città, di 11 Paesi (fra cui l’Italia), che si propone di applicare migliaia di targhette commemorative sulle strade vicino alle abitazioni dove sono state arrestati dai nazisti uomini, donne e bambini e trasferite nei lager.

Per questo progetto parallelo, delle targhette commemorative per le vittime del comunismo russo, l’unica differenza è che le targhette vengono affisse sulle pareti degli edifici. Insieme a Memorial, opera attivamente l’associazione «Poslednij adres» sulla base delle informazioni della banca dati dell’associazione russa, raccolte in molti anni su 3,1 milioni di cittadini sovietici vittime del regime comunista: una parte considerevole delle repressioni in Russia, che hanno riguardato almeno 12 milioni di persone.
Le prime targhette sono state collocate nel 2014, nel 2020 erano 1.015. Quest’anno supereranno le 1.500. Ogni targhetta costa 4.000 rubli (50 euro) ed è finanziata da raccolte fondi dei cittadini, senza chiedere nulla allo Stato che, del resto, non ha mai manifestato alcuna sensibilità in proposito. Il rettangolo d’acciaio inossidabile è stato disegnato da un noto architetto russo ( Aleksandr Brodskij), con i dati incisi in due lingue. Ora a Mosca vi sono anche targhe dedicate agli italiani (comunisti rinchiusi e morti nei gulag) come Olinto Bertozzi (un radiotecnico di Foggia emigrato a Mosca per sfuggire alla polizia fascista) e Alice Negro (di Biella, tipografo) entrambi riabilitati dopo la morte.
Negli archivi russi (ex Urss) sono stati trovati alcune migliaia di nomi di italiani finiti nei gulag (prevalentemente in Siberia): la cifra esatta non è nota perché gli archivi, in gran parte segretati, contengono 120.000 fascicoli personali di arrestati nella regione di Mosca, provenienti dalla Fsb (ex Kgb), in cui operava attivamente anche Vladimir Putin: sino a qualche anno fa ne comprendeva 300.000. L’archivio statale della Federazione russa, ad esempio, conserva anche l’interessante settore della Croce rossa politica («Fondo Peskova») in cui sono stati rinvenuti numerosi dossier sugli italiani arrestati, fra il dicembre 1917 e l’agosto 1937. Ma Memorial continua a indagare anche in numerosi altri archivi semisconosciuti, dove sono state scoperte tracce di italiani scomparsi: erano stati prima arrestati per attività antisovietica e spionaggio e poi inviati nei gulag.

Le ricerche proseguono non solo in Russia e in Ucraina, ma anche negli archivi di altre repubbliche ex sovietiche, come Azerbajan, Geòrgia e Uzbekistan. Memorial continua a produrre ogni anno libri voluminosi (ne sono usciti già quattro) con schede sulle vittime fucilate e sepolte nelle fosse comuni attorno a Mosca, dopo i processi politici svoltisi nella capitale. All’inizio degli anni 50 i detenuti nei gulag hanno raggiunto la cifra di due milioni e mezzo. Erano in gran parte russi costretti a collaborare con i nazisti nei territori occupati dai tedeschi, ex prigionieri di guerra accusati di tradimento. Ma vi erano anche discendenti degli italiani che vivevano a Kerc, in Crimea: 150 famiglie deportate in Kazakistan del nord e Siberia, originarie di famiglie pugliesi che si erano trasferite in Russia nell’Soo. Finirono nei gulag anche molti italiani dell’Armir, accusati di reati comuni. Inutile ricordare le condizioni di difficile sopravvivenza in un clima che arrivata anche a meno 50 gradi sotto zero, la scarsità di cibo e l’inesistente assistenza sanitaria. In molti campi il tasso di mortalità raggiungeva anche l’8o per cento nei primi mesi, anche per le assurde quote di produzione assegnate ai prigionieri nelle miniere e nei boschi.
È giusto ricordare che, per Memorial Italia, collaborano attivamente tre studiose, esperte dei crimini dei regimi comunisti dell’Urss e dei Paesi dell’est europeo: Elena Dundovich, Francesca Gori ed Emanuela Quercetti. Tra le vittime del comunismo vanno sicuramente annoverati anche coloro che sacrificarono volontariamente la loro vita per risvegliare le coscienze nella lotta per la libertà . A questi uomini e donne che sfidarono l’Urss è stato dedicato un libro, uscito di recente, del giornalista Dario Fertilio e di Olena Ponomareva (una studiosa ucraina),dal titolo Eroi in fiamme (Leonardo editore). Nel libro si raccontano le storie di tanti eroi solitari : da Jan Palach, a VasyF Makuch. Entrambi si uccisero, il primo a Praga, il secondo nel centro di Kiev nel 1968, sfidando l’impero sovietico.

Le targhette di acciaio sulle pareti degli edifici servono a ricordare non solo le vittime del regime comunista, ma contribuiscono a rompere quel muro del silenzio e di indifferenza su una tragedia collettiva ignorata o comunque sottovalutata dalle istituzioni e dai media, anche occidentali. Forse è utile ricordare che già negli anni dello stalinismo le vittime dei gulag, a seconda delle diverse fonti, veniva stimata da tre a 60 milioni di persone, tra cui 1,7 milioni di morti nei gulag e di quasi 400.000 nei lavori forzati, con un totale di quasi tre milioni di vittime ufficialmente registrate. Vi è da precisare però che i documenti ufficiali d’archivio sovietici non sempre contengono dati completi e attendibili. Ad esempio, non prendono in considerazione le morti dei detenuti avvenute subito dopo il loro rilascio. Per queste ragioni gli storici stimano il totale delle vittime oscillante tra i quattro e i dieci milioni di persone, tra cui cinque milioni nei gulag; gli altri nelle deportazioni, nelle epurazioni e nelle repressioni. Nel libro di Robert Conquest, II grande terrore le vittime dei gulag e dei campi di lavoro sono stimati tra i 13 e i 15 milioni. E non è stata solo colpa di Stalin, come comunemente affermano anche i comunisti di casa nostra.
Fu Lenin, infatti, che già nel 1917, subito dopo la conquista del potere, teorizzò che tutti i «nemici di classe» dovevano essere trattati come i peggiori criminali, anche se non fossero esistite prove: tali dovevano essere considerati i grandi proprie-tari terrieri, i funzionari corrotti e i nemici politici. Tutto questo non ci ricorda forse il regime comunista, ancora attivo nel Paese più grande della terra, anche se contagiato dal capitalismo occidentale?
