Tratto da La Verità
di Francesco Borgonovo
Per capire come possa parlare al cuore di così tante persone, ancora oggi e per avvertire tutte le sfumature della devozione che suscita, basta anche soltanto guardare la meravigliosa Madonna Aldobrandini di Raffaello (1510), un capolavoro magistralmente illustrato da Rosa Giorgi nel bel volume appena uscito Le Madonne di Raffaello (riprodotta nella foto). Vi vediamo una ragazza molto giovane, semplice, dolce. Con i capelli raccolti e quel vestito azzurro che, da sempre, collega Maria all’acqua, simbolo di rinascita, di vita e di purificazione.
È una madre giovane, semplice, dolce, il cui pianto non diviene piagnisteo e che insegna l’importanza della riflessione interiore. Abbiamo di fronte una donna, dunque, e pure molto bella. Di una bellezza particolare, che colpì lo scrittore Vasilij Grossman: «La bellezza della Madonna è legata saldamente alla vita terrena. È democratica, umana; è la bellezza di tante, tantissime persone – gialli con gli occhi a mandorla, gobbi con il naso lungo e pallido, neri con i capelli crespi e le labbra tumide. È universale». Però Maria è anche una madre, accomodata in una posa informale che, con la destra, protegge il Dio bambino e, con la sinistra, tiene stretto il piccolo Giovanni Battista come nella poesia di Hölderlin: «Il fanciullo divino e intorno a lui/ il figlio dell’amica, chiamato Giovanni».
Entrambi i piccoli reggono in mano i segni di ciò che avverrà: Gesù ha un garofano, il fiore che nascerà dalle lacrime versate da sua madre sotto la croce, la quale invece è retta da Giovanni. Ecco un altro attributo di Maria, dopo la bellezza di ragazza e la dolcezza di madre: il pianto. Scriveva Charles Péguy ne La passione di Maria: «Da tre giorni piangeva. / Piangeva, piangeva./ Come nessuna donna ha mai pianto./ Nessuna donna». È lo stesso scrittore francese a notare che Maria non piange invano anche se l’iconografia è piena di «madri dolorose», non abbiamo di fronte una donna facile alle lacrime. E questa è la prima grande lezione per i nostri contemporanei: in questo mondo dove il pianto è così abbondante da tramutarsi in piagnisteo, ecco una roccia che sopporta, che fronteggia il dolore prima di tutto con coraggio. Ella sa quanto ogni singola lacrima sia importante, dunque evita di versarne se non per ciò che veramente lo merita.
Contemporaneamente, questo pianto di Maria è ciò che forse più di ogni altra cosa l’avvicina a noi, ciò che la rende così immediatamente comprensibile. Nel suo pianto, che è quello di ogni mamma per il suo bambino che soffre, c’è un carattere fondamentale della Madonna, il fatto di essere «la Madre che salva». Così la descrive il filosofo Salvatore Natoli in un bellissimo libro appena pubblicato da Morcelliana intitolato semplicemente Maria. Natoli non è un devoto cattolico anzi, negli anni, ha elaborato una raffinata forma di «neopaganesimo» che propugna la riscoperta del pensiero greco e, in qualche modo, la ripresa di una concezione tragica della vita. Eppure egli vede nella Madonna una figura universale, capace di essere un punto di riferimento per tutti, fedeli o no che siano. La sua tesi, estremamente più suggestiva, diviene ancor più rilevante se si considera la forma che la nostra, civiltà sta prendendo.
Ha scritto il pensatore russo Aleksandr Dughin che viviamo immersi nel «logos di Cibele», cioè in un’epoca notturna in cui a dominare sono le oscure profondità della terra. Stiamo vivendo, non da oggi, un ritorno del femminile (per render conto basta osservare quanto sia diffuso il dirsi «femminista», anche fra gli uomini). Eppure si tratta di un femminile per lo più negativo, talvolta perverso, che spesso va a discapito delle stesse donne.
La femminilità che trionfa di questi tempi, è una Lilith (none di un demone femminile di antiche tradizioni mesopotamiche: n.d.r.) nera e aggressiva, che s’impone con rabbia.
Oppure è una Grande Madre avvolgente, che avviluppa i figli in una rete appiccicosa, al fine di imprigionarli e farli restare per sempre bambini. Pensiamo soltanto al carattere materno dello Stato, che ci tratta come fossimo infanti, ci rinchiude in casa come se ci inghiottisse in un ventre di balena (a questo proposito sono fondamentali le riflessioni di Laura Pigozzi nel saggio Troppa famiglia fa male, Rizzoli).
Ebbene, Maria è l’unico, potente antidoto a questo catramoso avvelenamento. Non soltanto per i cattolici. E non perché chiamarla a modello per i non credenti serva in qualche modo a rinverdire antichi stereotipi sulla donna che obbedisce silente. Tutt’altro. Sì, in effetti la Madonna parla poco, nei testi sacri. Eppure, come ha notato la filosofa Luce Irigaray ne Il mistero di Maria, questo silenzio è fondamentale. È l’assenza di caos che ci permette di ascoltare il dipanarsi del respiro, e il vuoto che viene riempito dalla parola.
Quanto bisogno abbiamo del silenzio, in questo mondo che pare esserne terrorizzato? Maria ci insegna la riflessione interiore, l’esame profondo.

La ragazza che accoglie il figlio di Dio, dunque, non è affatto chiusa in un silenzio di sottomissione, anzi è più libera che mai. La sua è un’adesione partecipe al progetto di Dio. «Ella», scriveva Romano Guardini, «ha creduto, e in un tempo in cui nessuno altro ancora credeva, nel senso proprio e pieno della parola».
Quando l’angelo le annuncia che sarà la madre di Dio, la ragazza giudea ha un attimo di riflessione che non è incertezza né paura. Poi reagisce, dà quella che Joseph Ratzinger definisce «la risposta essenziale di Maria: il suo semplice sì». È stato Bernardo di Chiaravalle a mettere in luce questo particolare aspetto di libertà, spiegando che Dio ha bisogno del «sì» di Maria: una risposta libera di una creatura libera. Quella della Madonna è una «libertà per», non una «libertà di». E una libertà che ha uno scopo più grande, non fine a se stessa. È, in fondo, rivoluzionaria. Pensate alle parole del Magnificat (che infatti fu proibito da Napoleone): grazie al suo «sì», accade qualcosa che cambia il mondo: il Signore «ha rovesciato i potenti dai troni, /ha innalzato gli umili». Rivoluzione, appunto.
Maria è vergine ma, prima che per dogma, lo è per spirito: non è corrotta né si fa corrompere, il suo animo è di una nobiltà irraggiungibile.
È libera, e coraggiosa. Crede, e rende tutto possibile. È donna, e anche madre. Soffre, ma combatte. È il femminile più luminoso, più vero, più dolce e più fulgido possibile: quello che non dobbiamo perdere.